mercoledì 9 marzo 2011

Come è nata S.O.S Tibet,India, Nepal onlus


Come è nata S.O.S Tibet,India,Nepal  

Avevo già avuto un contatto con il popolo tibetano, per un periodo avevo insegnato inglese ad un gruppo di monaci tibetani in esilio e a  dei bambini  a Dharamsala in India, il piccolo paese arroccato sulle montagne dove si trova la sede del governo tibetano in esilio. Quello che mi aveva colpito era il forte desiderio di apprendere di questi giovani che si impegnavano seriamente nello studio di una lingua che gli avrebbe permesso “di entrare in contatto con il resto del mondo” questo erano soliti ripetere. Ricordo di un pic nic in alta montagna una domenica pomeriggio, con la scolaresca a seguito, dopo aver camminato per diverse ore, giunti a destinazione eravamo intenti a riempire lo stomaco e ad ammirare il meraviglioso paesaggio circostante: le vette innevate facevano da sfondo ad un silenzio immacolato, l’immensità di quelle valli invitava lo sguardo a dilatarsi per contenere il cielo. Mentre contlemplavo la bellezza del luogo un gruppetto di tre bambini,Tashi, Sonam e Tsering Tondue si avvicinano lentamente con il loro quaderno degli esercizi chiedendomi di correggergli i compiti. Rimasi allibita, dicendo loro che era sabato e non c’era lezione, che avremmo potuto giocare insieme, ma loro mi dissero che avevano già fatto gli esercizi per il lunedì ed erano pronti a farne altri; non mi era mai successo qualcosa di simile prima di allora, capii quanto grande era il loro desiderio di apprendere. Quando arrivavo in classe loro erano già pronti con la penna in mano, non perdevano mai una lezione, venivano anche se avevano la febbre alta, alcuni camminavano molto per raggiungere la scuola, erano degli studenti modello; quando camminavo per le strade del villaggio se incontravo i loro genitori, venivano subito a salutarmi, ringraziandomi per quello che facevo per i loro figli. Ho notato che nella cultura tibetana c’è un profondo rispetto per gli insegnanti, per chiunque ha qualche insegnamento da trasmettere. Anche i monaci erano ben felici di apprendere qualche rudimento di inglese, la loro umiltà a volte mi metteva a disagio, si preoccupavano sempre della mia salute e volevano essere sicuri che non mi mancasse nulla, quanto calore ho ricevuto dai loro sguardi, la compassione di cui parla Sua Santità il Dalai Lama forse non è altro che una sincera attenzione verso l’altro. Durante la prima estate che trrascorsi in Tibet di nuovo umiltà e compassione riempivano di dolcezza il mio stare tra di loro, l’ostacolo della lingua non creava disagio, ma c’era una comprensione che a volte andava al di là della parola. Ero stata accolta con molta gioia e rispetto dalla famiglia del dottor Gendun, che in seguito sarebbe diventato mio marito, anche se non potevamo  trascorrere  molto tempo insieme, perché  lui molto spesso era impegnato a visitare donne ed anziani che venivano da lontano in cerca di un medico, venivano a cercarlo anche molte persone per ringraziarlo per l’aiuto  che aveva dato alle loro famiglie o perché semplicemete aveva li aiutava economicamente a far studiare i loro figli. Solo quando fui al villaggio venni a conoscenza del fatto che erano già diversi anni che Gendun  aiutava  e sosteneva molta  gente del suo villaggio, e che faceva studiare  diversi bambini alle scuole elementari e un paio all’università, facendosi carico di tutte le loro spese.  Un giorno  venne un ragazzo accompagnato dal padre e chiese di lui, entrò in casa ed iniziò a parlare, quando chiesi a Gendun di tradurre Lama Tsering, questo era il nome del ragazzo, lui era già scoppiato in lacrime, stava chiedendo a suo padre di fare dei prestiti o vendere la casa per potergli permettergli di continuare gli studi, l’unica alternativa sarebbe stata quella di andare a pascolare gli yak. Vidi molte cose nei suoi occhi ma soprattutto capii quanto deve essere difficile non aver la libertà di scelta e decisi che per quello che mi era possibile avrei voluto aiutare quel ragazzo. Dopo pochi giorni successe un episodio simile, e il giorno dopo ancora ed io non riuscivo a rimanere impassibile di fronte a quelle richieste di aiuto, così iniziai a fargli delle foto e a prendere i loro nominativi ,  promettendo  che una volta tornata in Europa avrei cercato di raccogliere dei fondi per aiutarli.
Pochi giorni prima della partenza mi resi conto che avevo raccolto più di quaranta nominativi, Gendun si arrabbiò moltissimo con me, dicendo che non avrei dovuto promettere aiuto se  non sarei stata sicura di poterli aiutare, perché loro erano sicuri che l’aiuto sarebbe arrivato e non volevo  tradire la loro fiducia. Fu così che tornata in Italia  mi sentivo carica di responsabilità verso quei ragazzi ai quali avevo promesso aiuto, ma mi diedi subito da fare  e nel giro di pochi mesi parlandone tra parenti ed amici stretti riuscimmo a trovare dei sostenitori per ogni ragazzo, ed ogni volta che qualcuno si impegnava ad aiutare questi giovani a finire un ciclo di studi il mio cuore scoppiava di gioia, sapendo che stavamo dando ad un’altra vita la possibilità di migliorare. Nel mese di dicembre i due ragazzi universitari e tutti gli altri bambini avevano trovato un sostenitore, così con l’aiuto di qualche altro amico intimo decidemmo di creare S.O.S Tibet, India, Nepal onlus. L’anno successivo abbiamo iniziato a fare degli incontri  in cui Gendun parlava della medicina tibetana e dei valori fondanti della loro cultura, tutti sembravano essere molto interessati e alla fine degli incontri parlavamo dei nostri bambini e della loro voglia di imparare a leggere e scrivere, così c’era sempre  qualcuno che aderiva al progetto e questo ci faceva sentire meno soli e ci dava la forza di continuare nel nostro operato.
                                                                                                             Eugenia Cucco



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